História








I Boncompagni Ludovisi

Erano mercanti, in principio. E vivevano a Bologna. Lì nacque anche il personaggio più illustre della famiglia: Ugo Boncompagni, eletto papa nel 1572, con il nome di Gregorio XIII.
Queste, almeno, sono le certezze araldiche, anche se alcuni studiosi richiamano un’origine umbra, ritenendo che la famiglia debba discendere dai Dragoni, signori di Assisi all’epoca di Ottone I, imperatore dei Romani (fine del X secolo). È certo che tra la fine dell’XI e l’inizio del XII secolo visse un Boncompagno Dragone: nei secoli seguenti, molti Boncompagni furono chiamati (o soprannominati) Dragone. Tornando alle certezze storiche, attestate da documenti, fu nella prima metà del XVI secolo che la famiglia acquisì un titolo nobiliare, con il padre di Ugo, il futuro papa, che sposò una nobile bolognese, Angela Marescalchi. Dopo Gregorio XIII – anche in ragione del suo nepotismo (comune a tutti i pontefici di quell’epoca) – la famiglia acquisì poteri e ricchezze inimmaginabili fino a pochi anni prima. Il figlio del papa, Jacopo, fu il fondatore della futura dinastia ed acquisì titoli nobiliari e feudi nello Stato della Chiesa e nel Regno di Napoli. Un pronipote di Gregorio, Francesco Boncompagni, arcivescovo di Napoli (dal 1626) fu grande benefattore, erudito e collezionista di libri. Alla fine del XVII secolo Gregorio V Boncompagni, duca di Sora, sposò in seconde nozze la nipote del papa Gregorio XV, Ippolita Ludovisi, acquisendo i principati di Piombino e di Venosa e aprendo la strada all’unificazione delle due famiglie. Pochi decenni più tardi, per via di un altro matrimonio, i Boncompagni si assicurarono anche l’eredità degli Ottoboni, nipoti del papa Alessandro VIII. Il dominio su Piombino e sull’Elba fu sottratto alla famiglia da Napoleone che vi sistemò la sorella Elisa. Il Congresso di Vienna confermò il titolo ai Boncompagni, ma trasferendo i territori al Granduca di Toscana. Nell’Ottocento Baldassarre Boncompagni fu eminente scienziato. Nel Novecento, Francesco Boncompagni fu governatore di Roma dal 1928.
V a r e s e – L i g u r i a
Le mete
Castello
Il castello è posto a chiusura del Borgo, sul lato settentrionale, e le sue fasi edilizie sono state ricostruite a seguito degli scavi archeologici condotti all’epoca del restauro (1964). La cronaca redatta nel 1558 dal varesino Antonio Cesena, narra di una casa con giardino del Signore Fieschi - costruita tra il borgo e il mulino sul Vara - della cui successiva sparizione non si conoscono i particolari. Nel 1435 il condottiero Nicolò Piccinino, al servizio del Duca di Milano, invase Varese ed innalzò una nuova torre, incaricando maestanze fatte arrivare appositamente dalla Lunigiana, quelli medesimi maestri, che haveva fatti venire, li quali poco inanzi havevano fatto la torre di Piagnano castello di Pontremoli. L’accesso alla torre era consentito da un ponte levatoio sul fossato, sul lato rivolto al Borgo. La torre del Piccinino venne affiancata dal torrione costruito da Manfredo Landi tra il 1472 ed il 1478-79. Sposata la feudataria di Varese, Antonia Maria Fieschi, il Landi si stabilì nel borgo e sentì la necessità di ampliare la zona abitativa del palazzo. Quando i terrazzani insorsero contro di lui in nome di Gian Luigi Fieschi, nel 1478, il torrione era quasi terminato, mancava soltanto la copertura. Nel 1541 cadde la volta, che aveva terminazione piana e che fu in seguito trasformata dai Fieschi in copertura a padiglione. La tecnica muraria delle torri non presenta differenze sostanziali, nonostante i trent’anni che separano le due costruzioni. Quella del Piccinino è già moderna per il tempo, visto che prevede anche l’uso delle armi da fuoco e non solo delle balestre. Il torrione Landi costituisce un’opera militare di difesa più che di offesa (come invece è la torre del Piccinino): oltre all’introduzione delle “bocche da fuoco”, presenta anche la forma cilindrica e la base a scarpa, accorgimenti adottati per offrire maggior resistenza alle nuove armi. Intorno alle grandi finestre è visibile una vera e propria scollatura, che fa ipotizzare un inserimento successivo. Anche sull’altezza originaria del torrione si nutrono dubbi poiché il confronto con altre torri angolari coeve, induce a pensare che dovesse essere più alto. La parte superiore si potrebbe datare tra la fine del ‘500 e l’inizio del ‘600, come conferma la tipologia formale delle bucature. Dal 1547, quando ai Fieschi successe Genova nel dominio di Varese, fino a tutto il XVIII secolo il castello divenne residenza del podestà, successivamente, fino ai recenti anni ’50, fu adibito ad abitazione e, attualmente, è di proprietà privata. Una stretta scala dà accesso al salone di rappresentanza, sotto al quale sono le prigioni; su due pietre della muratura i detenuti del XVI secolo incisero alcune date a perenne ricordo della loro prigionia.
Torre Civica

E' quanto resta del complesso della chiesa e convento agostiniano di Santa Croce, eretti nel 1563. La chiesa aveva al suo interno sette altari ed era riccamente decorata; il convento, al quale era annesso un ospedale e che a metà '700 ospitava soltanto due frati, venne definitivamente chiuso con l'avvento della Repubblica Democratica Ligure (1797) e la soppressione degli ordini religiosi. L’edificio fu venduto alla famiglia Ottoboni ed il campanile della chiesa restò al Municipio, che vi fece installare l'orologio e lo utilizzò poi come torre civica. Il Crocifisso che si trovava in chiesa è conservato oggi nella parrocchiale di Comuneglia, mentre la statua della Madonna della Cintura e quella dell'Angelo Custode sono state trasferite nella chiesa parrocchiale di Varese.
